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I farmaci antiaggreganti per l’ictus potrebbero essere sfruttati per affrontare COVID-19

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Secondo i ricercatori dell’Università di Aberdeen, un farmaco comunemente usato per il trattamento dei pazienti che soffrono di ictus potrebbe essere riadattato per trattare i pazienti con COVID-19.

L’articolo della dott.ssa Claire Whyte e della dott.ssa Nicola Mutch del Cardiovascular & Diabetes Centre e Honorary Research Fellow dell’Università, il dott. Gael Morrow, è stato pubblicato sul Journal of Thrombosis & Haemostasis, ed è stato finanziato in parte da sovvenzioni della British Heart Foundation.

Essi suggeriscono che una versione aerosol di un farmaco anticoagulo chiamato attivatore del plasminogeno tissutale (tPA) potrebbe essere un modo ‘pragmatico’ per affrontare le complicanze delle lesioni polmonari causate dal virus.

Malattie simili a COVID-19, tra cui l’influenza comune, possono creare un’infiammazione che si traduce in depositi di una proteina chiamata fibrina. La fibrina è l’impalcatura di cui sono fatti i coaguli di sangue.

Questo accumulo di fibrina occupa spazio e riduce la quantità di ossigeno che il polmone può assorbire.

I pazienti con COVID-19 sono inclini a formare coaguli di sangue indesiderati che, in ultima analisi, aumentano il rischio di morte.

Attualmente si consiglia di trattare i pazienti con complicazioni polmonari con COVID-19 utilizzando farmaci per prevenire la formazione di coaguli di sangue indesiderati. Tuttavia, questi farmaci non aiutano la formazione di coaguli che si sono già formati.

In questo articolo di recensione si propone il farmaco che rompe i coaguli, l’attivatore del plasminogeno tissutale (tPA), attualmente utilizzato per trattare i pazienti affetti da ictus, potrebbe essere usato per colpire i coaguli già formatisi.

Il dottor Nicola Mutch ha detto: “Data l’urgente scala temporale del trattamento di pazienti gravemente malati e l’attuale onere per il SSN, la riprogrammazione delle terapie esistenti, come il tPA, è un approccio pragmatico nell’affrontare le complicanze delle lesioni polmonari associate al COVID-19”.

Al lavoro hanno contribuito anche i ricercatori delle università di Oxford e Reading e del Royal Free Hospital di Londra.

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